
25 Ott AIUTARLI A CASA LORO.COME? (Antonio Simiele)
Di fronte ad un fenomeno epocale e complesso qual è quello degli immigrati, provenienti in
prevalenza dall’Africa, è di moda dire che bisogna aiutarli a casa loro. Un buon proposito.
Sennonché, risulta un dire quasi sempre ipocrita. Non s’indicano, infatti, i modi concreti per farlo,
non s'individuano le cause più profonde, non si denunciano le responsabilità; non si dice che, per
aiutarli davvero, bisognerebbe, innanzitutto, interrompere l’ormai secolare sfruttamento di quel
Continente da parte di potenze occidentali che, invece, non mostrano alcuna voglia di farlo: si è
passati dalla tratta dei neri, alla lunga piaga del colonialismo, sino all’attuale prelievo sistematico
delle sue ricchezze.
I tre quarti dell’oro mondiale provengono dall’Africa; nel Continente si trova il 90% dei presunti
giacimenti di cobalto del pianeta, ci sono le maggiori riserve di titanio e la più grande riserva
mondiale di radio; in molti Stati si estrae petrolio e in quasi tutte le regioni si trovano minerali
ferrosi. La quasi totalità di queste ricchezze è gestita da grandi gruppi internazionali.
Ecco, per ricondurre i migranti alle zone di partenza, bisognerebbe cominciare a fare un uso di
queste risorse a favore delle popolazioni locali e aiutare lo sviluppo delle vocazioni agricole, per
mutare sul luogo le condizioni, creando lavoro e reddito; va da se che bisognerebbe, anche, finirla
di dare sostegno a governi locali corrotti e funzionali solo agli interessi delle grandi potenze.
E’ un processo, com’è evidente, che ha bisogno di tempo, per cui l’accoglienza è un dovere. E’ un
dovere per queste e per ragioni, come ci ricorda il papa, umane ed evangeliche che dovrebbero far
riflettere quelli che si proclamano cattolici ma sono contrari. Un’accoglienza che si deve
accompagnare con piani di aiuto ai Paesi di provenienza di cui si faccia carico innanzitutto l’Europa
e con risposte concrete da dare ai cittadini italiani spaventati, le cui paure non vanno né
alimentate, come fanno irresponsabilmente certe forze politiche, né sottovalutate, ma affrontate,
ad esempio, riducendo drasticamente i tempi utili a stabilire se un migrante ha titolo per rimanere
e trovando il modo per far lavorare chi è in attesa.
Le parole di papa Francesco dovrebbero far riflettere anche quanti, per loro definizione
ipercattolici, si mostrano restii a concedere diritti di uguaglianza a chi, di fatto, è cittadino italiano
per il suo percorso di vita, tanto più se è nato, cresciuto e ha studiato in Italia. Sono diritti che non
riguardano i migranti ma cittadini che ormai da anni vivono nel nostro Paese. Riconoscerli, come in
maniera molto prudente fanno lo ius soli “temperato” e lo ius culturae, regolamentati dalla legge
in discussione in Parlamento, dovrebbe essere la normalità. Siamo, infatti, tra i pochi Paesi al
mondo che sia rimasto fermo a un anacronistico principio del sangue. Quasi tutti i Paesi del
continente americano applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizione; lo applicano,
anche se condizionato, pure i più importanti Paesi europei.
D’altronde l’inclusione di tutte le persone che vivono con noi e lo desiderano, facendole cittadini a
pieno titolo, è un bene per l’Italia, le porta nuovo entusiasmo, la rafforza e ne accresce le fortune.
E’ cosa da fare anche per ridurre i rischi di un’emarginazione che è terreno fertile per la crescita di
soggetti votati al terrorismo, com’è apparso chiaro dalla personalità degli artefici di atti che hanno
insanguinato la Francia, l’Inghilterra, il Belgio, la Germania negli ultimi anni, tutti figli di una
mancata o insufficiente integrazione, in un’Europa che soffre già di suo per una crisi profonda
economica e di cittadinanza che colpisce la maggioranza delle popolazioni.
25 ottobre 2017 Antonio Simiele
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